Furio Barzon non è un architetto. O meglio lo è, ma è anche molto altro. Un titolo del genere infatti risulterebbe quanto mai limitativo nei confronti della sua attività professionale. Espressione di un mondo in rapido cambiamento, Barzon ha contribuito e contribuisce tuttora ad ampliare i possibili scenari futuri per noi possibili architetti futuri ed allo stesso tempo riesce a sintetizzarli tutti in una sola, eclettica, figura. Analizzando la sua persona e la sua attività si riesce a delineare con chiarezza quali sono i percorsi che la pratica professionale dell’architetto è destinata ad intraprendere in un prossimo futuro.
Uno di questi è sicuramente l’interdisciplinarità, tanto che potremmo definire Barzon come una sorta di “integratore interdisciplinare” , un abile direttore d’orchestra che dirige e coordina all’interno del mondo edilizio settori che non comunicano mai tra loro in modo diretto. Operando in questo modo le potenzialità del progetto architettonico si moltiplicano a dismisura, come dimostra la start-up “Green Prefab”, sua ultima e forse più innovativa “creatura”.
Non è un semplice ritorno alla concezione rinascimentale della figura dell’architetto come genio universale, anzi. Barzon è un architetto di frontiera, da una parte si lascia contaminare dalle diverse visioni progettuali di architetti, ingegneri e committenti, dall’altra si apre al dialogo e alla cooperazione con settori considerati tradizionalmente meno importanti sul piano progettuale come il “Real-estate”, gli imprenditori edili e nel suo caso specifico i fornitori industriali. Come logica conseguenza di questa interdisciplinarità, di questa voglia di sporcarsi le mani, l’architetto ritorna a essere il perno centrale dell’intero processo edilizio non solo dal punto di vista progettuale, ma soprattutto dal punto di vista comunicativo ed organizzativo . Egli si trova a dialogare con diversi operatori e mettendoli in contatto tra loro genera una vera e propria comunità. Egli diventa colui che permette e favorisce la nascita di interazioni all’interno di quest’ultima, creando una sorta di meccanismo progettuale che mai aveva raggiunto in passato un tale livello di coordinazione. Tutto questo è stato reso possibile grazie ad un utilizzo intelligente della tecnologia, da una parte i social network e i grandi database online, dall’altra un livello avanzato di progettazione digitale attraverso software CAD e BIM, sviluppatisi moltissimo negli ultimi anni anche grazie al lavoro di grandi maestri come Norman Foster, Frank O. Gehry e Zaha Hadid. Un altro brillante esempio di come gli architetti possano rivestire il ruolo di “Community Enabler” è rappresentato da Cameron Sinclair che con il suo “Architecture For Humanity” ha dato una svolta significativa al settore dell’architettura in campo umanitario.
Uno degli aspetti che meritano di esser sottolineati in questo scenario è l’evoluzione del rapporto architetto-committente così come concepito in passato.
Come descritto nel numero della rivista Volume intitolato “Unsolicited Architects” sempre di più architetti come Barzon rifiutano di esser elementi passivi in perenne attesa di una committenza che gli commissioni un determinato progetto, ma una volta individuata un’opportunità o un problema da risolvere sono loro stessi a concepire una soluzione progettuale, proporla al cliente e preoccuparsi della ricerca di finanziamenti. Questo rifiuto della passività, presuppone una costante attività di ricerca che travalica il campo dell’architettura per sconfinare in tematiche politiche, ambientali, economiche e culturali. Questa attività è diventata così fondamentale per alcuni studi da assumere un ruolo predominante, come nel caso dell’AMO di Rem Koolhaas, studio di ricerca legato al suo gemello prettamente progettuale OMA (“Office for Metropolitan Architecture”).
Questo continuo reinventarsi, questo rifiuto di ruoli predefiniti e immutabili sarà alla base del lavoro di quelli che fino ad ora sono stati chiamati generalmente "architetti". Per dirlo con le visionarie parole di Buckminster Fuller i progettisti di domani saranno una “synthesis of artist, inventor, mechanic, objective economist and evolutionary strategist”.
Questa elasticità di pensiero rappresenta una risposta intelligente alla situazione di crisi economica che tutti noi siamo stati costretti ad attraversare e stiamo tutt’ora attraversando.
In cinese la parola crisi è formata due caratteri. Secondo alcune interpretazioni uno rappresenta il pericolo e l'altro l'opportunità. Probabilmente questo secondo aspetto è stato colto al volo da Furio Barzon, il quale all’interno di un mercato stagnante è riuscito a proporre una valida soluzione al problema edilizio non solo dal punto di vista economico ma anche da quello qualitativo. Per Barzon la sua Green Prefab non è semplicemente un’opportunità economica, bensì l’occasione per introdurre nel rigido mercato italiano un prodotto prefabbricato di ottima qualità ma soprattutto sostenibile da un punto di vista ambientale, contribuendo con risposte concrete a risolvere uno dei grandi problemi del nostro tempo e con cui gli architetti del domani si troveranno sempre più a fare i conti. E questo lo fa rompendo con risultati tangibili e non semplici parole, l’equazione stantia che vede (prefabbricato)=(pessima qualità+nessun valore estetico).
Negli scenari futuri della pratica architettonica, qualsiasi essi siano, mi auguro che sia proprio questa voglia di sovvertire lo status quo per migliore le cose, questo pensare in maniera diversa ed avere il coraggio di realizzare le proprie idee, questa gentile disubbidienza come la definisce Renzo Piano , a mantenersi viva nella mente e nel cuore degli architetti del futuro.
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