lunedì 28 marzo 2011

Giulia Lazzaretto 271361

È ormai chiaro che il classico lavoro dell’architetto sia diventato marginale e sostituito dalla rivoluzione informatica che ne ha indubbiamente accelerato i processi di costruzione, disegno e visualizzazione del progetto. L’architettura stessa è cambiata, ha nuove richieste e guarda sempre più l’eco compatibilità, l’ ambiente, la funzionalità, e chiede meno sprechi e costi. È necessaria un ‘architettura universale, ma allo stesso tempo plasmabile e adattabile in ogni occasione e per ogni parte del mondo. La figura dell’ architetto che ora più che mai assume un ruolo sociale importante per salvaguardare il futuro, deve prestare attenzione ai nuovi materiali, a valorizzare l’ambiente, a fondere natura con architettura, in una ricerca non solo formale . Per far ciò, l’architetto necessita di lavorare in una scala internazionale, in un mercato più ampio e senza confini, e la rivoluzione informatica del 2.0 permette questo tipo di lavoro. Non dimentichiamo che il linguaggio del 2.0 è una risorsa potente, è uno scambio, un intreccio infinito nel quale chi da, riceve(come spiegato dal professor Natalino Bonazza). Grazie alla rete è sempre più scontata l’idea di comunicare con tutto il mondo e si parla ormai di “cultura digitale”. Detto questo, è naturale pensare che anche l’architettura possa avere un posto in rete, serve semplicemente un trampolino di lancio, una piattaforma digitale …. Ed ecco che entra in gioco Green Prefab. Ideato da Collaboratorio e diretto dall’architetto Furio Barzon, Green Prefab è una piattaforma di product life cycle management che unisce un network internazionale di Real Estate, produttori industriali di elementi prefabbricati, imprese di costruzioni, progettisti, ingegneri, università, centri di ricerca, che lavorano insieme per rinnovare l’industria delle costruzioni, proponendo una nuova generazione di edifici sostenibili per costo e prestazioni. Tutto il sistema è fondato su tre parole chiave: CAD, INTERNET e DIGITAL PRODUCTION. Una vera frontiera, per chi vuole uscire da un ambiente nazionale e culturale che ritiene soffocante, povero e oserei dire, deludente; per la possibilità di crescere un progetto anche in un continente lontano e poco conosciuto, con sicurezza su calcoli e materiali utilizzati. Devo ammettere che un po’ mi lascia perplessa tutta questa forzata semplicità, che si tramuta nella ricerca di moduli e di forme finite da assemblare come semplici lego …. Sono passi importanti per raggiungere l’architettura che io stessa ho definito prima, ho solo qualche (forse) banale incertezza che trovare buona parte di lavoro pronto, faccia scomparire il gusto di un progetto, dello studio che giace dietro alla semplice forma di un edificio, del pensiero ponderato e meditato che fino ad ora ha caratterizzato “le quattro mura di una casa”. A questo proposito concluderei con la frase del prof. Bonazza:”..uscire dall’incanto della rete, per percepirne la vera consistenza e l’importanza ….”, in modo da mantenere un margine di indipendenza dalla rete e non vivere solo nel mondo virtuale.

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