giovedì 24 marzo 2011

Anna Sanga 271775



Gli scenari per un architetto. La crisi, la crisi e ancora la crisi. Non so se ne abbiate sentito parlare ma si dice siamo in un momento di crisi. Questa crisi che aleggia misteriosa, mi sembra come l’uomo nero di quando ero bambina, si aggira, magari non lo vedi, ma sai che c’è ed è per questo che decidi di mettere a posto la cameretta invece che guardare la tv. L’uomo nero condiziona ogni scelta, ogni azione e così la crisi.

Non manca giorno che io senta dire quanto sia difficile diventare architetti o che molti di noi si troveranno ad essere caddisti sfruttati. L’Italia è il paese che “sforna” il più gran numero di architetti, un architetto ogni 750 abitanti: un’ esagerazione. Architetti che sforneranno pane forse.

Se penso agli scenari che si aprono a noi “aspiranti” architetti, mi verrebbe da dire: catastrofici.

Dunque decido di vedere la questione da un’altra angolazione, prendiamo un architetto nel 2011 che “ce l’ha fatta”. Non uno studente, non un architetto che ora fa il barista, prendiamo una architetto architetto.

L’architetto di cui parlo mi pare debba possedere prima di tutto grandi capacità di mediazione. Se l’architetto-ingegnere-artista del passato progettava le sue struttutre, ne studiava la statica e supervisionava i lavori, oggi non è più così.

Oggi ci si specializza: competenze approfondite, ma ristrette rendono necessario il lavoro di squadra. L’architetto fa il progetto, gli ingegneri calcolano la statica, gli operai lo realizzano. E sempre più spesso le componenti provengono da paesi differenti, collaborano tramite internet e non si sono mai viste direttamente (vedi Green Prefab). Quel che è peggio è poi se non hanno visto nemmeno dove sarà realizzato il progetto (problema tutt’altro che recente se pensiamo che ne parla già Camillo Sitte nell’800).

Fare architettura oggi, insomma, significa sempre più realizzare un progetto collettivo, all’interno del quale le varie parti si limitano reciprocamente.

L’architetto viene definito un artista “sfortunato” perché non realizza direttamente la sua opera e dunque non ne ha il pieno controllo. Si parla di un “dislivello”, e noi oggi possiamo introdurne molti altri con l’avvento del computer che è un medium che si frappone ulteriormente tra le parti in dialogo (crediamo di intenderci e non ci intendiamo mai diceva il buon Pirandello).

L’architetto si sente un artista con le mani e i piedi legati, un laccio è la statica e l’ingegnere, un altro laccio è il committente, un altro ancora la capacità degli operai e se vogliamo anche l’obbligo di usare materiale prefabbricato.

Il committente. Come sempre lo è stato nella storia della pittura, così lo è anche nell’architettura. Per ogni architetto che costruisce, c’è un committente che finanzia. Un committente che può essere più o meno ingombrante: che vuole essere dipinto in primo piano tra i santi o che si limita a suggerire un pavimento in cotto piuttosto che il parquet.

Ma l’architettura è diversa dall’arte, non è arte. Se l’artista può realizzare la sua opera senza il committente, l’architetto non lo può fare: l’artista è libero, l’architetto non lo è e non lo sarà mai. L’arte non deve servire a nulla, l’architettura sì. Si può costruire una casa a regola d’arte, ma costruire non è arte pura. La differenza è sottile ma c’è. L’arte è libertà, l’architettura è soluzione a un problema.

Se l’architettura e l’architetto si sentissero meno arte libera e artista romantico forse molti dei problemi si risolverebbero. Trovo vi sia un grande divario tra l’edilizia comune e le stelle del firmamento dell’architettura, le archistar. Molte di queste, a mio parere esagerano, abusano della libertà a loro concessa nel costruire, producendo architettura di dubbio valore. Bisogna capire che il bello in architettura è diverso dal bello dell’arte. Una supposta, una casa al contrario, non sono belle. Il bello dell’architettura è un bello che funziona e non deve per forza stupire, innovare, sconvolgere. Ma l’estetica è un’altra storia, una storia che richiederebbe ben più di 2000 battute.

Il moderno architetto, non deve credersi romanticamente un artista dotato di illuminazioni geniali, non ne abbiamo bisogno (cit. Munari). Penso che costruire bene voglia dire ricercare la semplicità e la funzionalità.

Sono favorevole, poi, al sempre maggiore utilizzo di elementi prefabbricati, e penso sia molto utile perché dà la possibilità di ridurre i costi e utilizzare elementi di qualità.

Anche all’uomo nero piaceva giocare coi lego, io preferivo le tempere.

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